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Multa record alla rivista che pubblicava studi scientifici non verificati

06 Aprile 2019 - 07:19 Juanne Pili
Per anni la Omics International è riuscita a costruire un impero di riviste solo all'apparenza scientifiche. In realtà avrebbe pubblicato gli articoli senza verificarli, chiedendo agli aspiranti autori migliaia di dollari. La casa editrice è stata così condannata a pagare una multa di 50 milioni di dollari

Negli Stati Uniti la Federal trade commision (Ftc) è riuscita a far multare per 50 milioni di dollari la casa editrice indiana Omics International, per aver diffuso dal 2011 al 2017 articoli scientifici senza sottoporli a verifica, ottenendo milioni di dollari da aspiranti ricercatori e scrittori. Queste accuse hanno come oggetto anche il proprietario della società editoriale, Srinubabu Gedela, che gestisce numerose riviste predatorie e relative conferenze pseudoscientifiche.

Tra le accuse anche quelladi aver chiesto cifre esorbitanti agli autori per la pubblicazioni degli articoli, arrivando anche a pretenderemigliaia di dollari, dietro la promessa – mai mantenuta – di sottoporre gli studi a revisione, cosa che dovrebbe essere comune prassi per tutte le riviste scientifiche, sia quelle che si sostengono con gli abbonamenti, sia quelle open-access, leggibili online da chiunque senza chiedere contributi ai lettori.

Tra i più entusiasti per questo provvedimento c’è senz’altro l’ex bibliotecario e debunker Jeffrey Beall, uno dei più attivi cacciatori di riviste predatoriecheconosceva già molto bene l’attività per niente rigorosa della casa editrice indiana.La guerra alle riviste predatorie sarà ancora lunga, ma di certo è stato inferto un duro colpo a questo genere di attività.

È una grande notizia. Ci sono centinaia di editori predatori, ma Omics è l'impero del male.

Il danno che l’editoria predatoria arreca riguarda anche gli stessi ricercatori, i quali per primi vorrebbero divulgare i loro lavori sottoponendoli alla verifica di altri esperti, così infatti funziona il metodo scientifico.

Cosa sono le riviste predatorie?

Sono definite predatorie quelle riviste che si presentano come scientifiche, ma in realtà i loro editori non fanno alcuna verifica dei contenuti. Per vedere unarticolo pubblicato è sufficiente che l'autorepaghi una quota. Non è per niente inusuale che una rivista scientifica chieda un contributo agli autori di una ricerca, specialmente se risulta necessariala preparazione di grafici e statistiche.

Esistono anche pubblicazioni «open access», come PlosOne​​​​​​(una delle più autorevoli riviste scientifiche), che non prevedono un abbonamento e permettonola lettura immediata online degli articoli scientifici, reggendosi proprio sulle quote degli autori: tuttavia prevedono comunque un rigoroso controllo dei contenuti da parte di altri esperti, attraverso il meccanismo della «peer review», ovvero la revisione paritaria.

La casa editrice dopo una verifica preliminare "gira"l'articolo a un team di esperti a cui non viene reso noto il nome dell'autore (in modo da evitare pregiudizi e conflitti di interesse);l'articolo può essere rigettato in toto, oppure si chiedono delle correzioni all'autore;dopo la pubblicazione chi legge l'articolo potrebbe comunque riscontrare anomalie, confutandolo con altri studi, portando l'editore a pubblicare rettifiche e addirittura decidere la rimozione dell'articolo dal sito della rivista. Questo è quanto successe per esempio quando venne scoperta la natura truffaldina dello studio no-vax di Andrew Wakefield, pubblicato sulla pur autorevole rivista The Lancet.

La lunga caccia alle riviste predatorie

Esistono in rete alcune liste ufficiose di riviste predatorie, la più dettagliata è senz’altro quella stilata con lo stesso contributo di Jeffrey Beall dal 2017. Non è facile stimarne il numero, ma alcuni giornalisti e scienziati sono riusciti negli anni a mettere in luce la loro esistenza, presentando articoli volutamente insensati e vedendoli comunque pubblicati.Un esempio ecclatante è la finta ricerca sui «midi-chlorians» (in Star Wars sono delle sostanze presenti nel corpo dei cavalieri Jedi), pubblicata sulla rivista MedCrave.

Sempre per far uscire allo scoperto le riviste predatorie è stato realizzato nel 2018 uno studio fake basato su una puntata della serie fantascientifica Star Trek Voyager, pubblicato sul American Research Journal of Biosciences, dal titolo «Rapid genetic and developmental morphological change following extreme celerity». Oggi non risulta più online, ma il debunker Paolo Attivissimo fece era riuscito a riportare la vicenda. L’intero studio altro non era che un rifacimento di una puntata della serie Tv, arricchita con termini scientifici.

La facilità con cui è possibile realizzare studi-fake solo apparentemente scientifici è davvero impressionante, si tratta di un problema noto da diversi decenni. Nel 2005 alcuni studenti del Mit di Boston si sono divertiti acreare un generatore di articoli scientifici fake. Così realizzarono uno studio intitolato «Rooter: una metodologia per l'unificazione tipica dei punti di accesso e della ridondanza», un titolo senza senso, come del resto anche il suo contenuto, subito accettato ad una conferenza nota per i suoi bassi standard nel verificare l’attendibilità scientifica dei suoi conferenzieri. Ricordiamo che dal Mit di Bost partì anche la storia virale dei gattini in bottiglia, una delle bufalescientifiche più riuscite di sempre.

Già dieci anni dopo, nel 2015, si contavano circa 30 mila riviste di settore, con una media di due milioni di articoli pubblicati ogni anno. Trovare quelle disoneste non è mai stata una passeggiata. Le cifre richieste per la pubblicazione possono essere molto varie, nel caso dell’articolo basato su Star Trek vennero chiesti 50 dollari, per quello sui midi-clorian il prezzo superava i 200, ma le cifre richieste possono essere anche più alte.

Come possiamo difenderci?

Il problema dell’esistenza di riviste predatorie è l’uso che possono farne molti cosiddetti «ricercatori indipendenti», i quali possono rafforzare le loro tesi pseudoscientifiche in ragione di propri studi, pubblicati senza la minima verifica. Succede spesso quando si parla di tesi no-vax.Eppure questo genere di pubblicazioni può essere contrastato molto facilmente: basta leggere gli studi e accertarsi del metodo di ricerca utilizzato, consultando magari degli esperti, là dove vengono usati termini tecnici. Inoltre, ci si può informare in rete sugli autori dello studio, sui suoi possibili conflitti d’interesse e verificare se in riviste più autorevoli compaiono studi simili. Non basta sostenere «esiste questo studio», bisogna anche vedere su cosa si basa e dove è stato pubblicato.

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